La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

giovedì 14 maggio 2015

Le Reali Cacce di Mondragone



La grande passione per la caccia che nutrirono, sin dalla più giovane età, i sovrani borbonici, e in particolar modo Carlo e Ferdinando IV, li spinse a prender possesso, sia attraverso acquisti che mediante espropri o permute con altri feudi, del maggior numero possibile di boschi e località, ricche di selvaggina, dove praticare l’esercizio venatorio. Entrarono così a far parte del patrimonio reale vaste estensioni di terreno, sparse in ogni parte del Regno che, popolate di animali di diversa specie, furono riservate alle cacce reali. Nel corso degli anni le riserve subirono profonde modificazioni: alcune furono accorpate in altre vicine più grandi, altre furono limitate nei confini, altre ancora furono abolite.

Per quanto riguarda Terra di Lavoro, dalla carta topografica delle Reali Cacce disegnata dal cartografo Rizzi-Zannoni, datata 1784, le zone destinate alle cacce dal sovrano risultano così denominate: Torcino e Mastrati, Mondragone, riserva di Carditello, demanio di Calvi, Reale Fagianeria in prossimità di Caserta, Montegrande tra Alvignano e Caiazzo [...].


Rudere di una garitta di guardia borbonica ancora esistente nelle campagne del Demanio di Calvi
(foto di Salvatore Bertolino)

Terra in provincia di Terra di Lavoro, in diocesi di Carinola […]
Mondragone ha esteso territorio, il cui prodotto è vario secondo la natura delle terre. Il gran Pantano boscoso è riservato per la caccia reale. Colà sono le pagliare del Re: vagamente costrutte, quantunque in luogo palustre, formano delizioso villaggio. In vicinanza è altro circondario destinato alla caccia reale de’ cinghiali.




Il Pantano di Mondragone, con i fondi adiacenti, costituiva un’altra tenuta di caccia dei sovrani. Essa si estendeva sui terreni dei comuni di Mondragone e di Carinola, per i quali la Real Casa pagava annualmente un fitto. Nella zona vi era anche il Bosco della Pineta che, pur essendo di proprietà del marchese di Pescopagano, era riservato alle cacce reali. La selvaggina di queste terre paludose era costituita soprattutto da cinghiali e mallardi.

Dal rapporto stilato nel febbraio nel 1766 da Angelo Palmieri, si apprende che «quelle reali cacce (Mondragone) sono in ottimo stato» e che «i Paesani che meneno a caccia di volatili» sono stati diffidati dall’avvicinarsi alla zona del Pantano.

La sottrazione di decine di migliaia di ettari agli usi produttivi era motivo di malcontento tra le popolazioni interessate che, inoltre, vedevano in tal modo ridotti i loro diritti di caccia, fondamentale fonte di integrazione alimentare. 
Gli stessi proprietari dei terreni limitrofi venivano limitati nella effettiva disponibilità delle loro tenute, per la regola del “miglio di rispetto”. Si pensi ad esempio che oltre all'ovvio divieto dell'esercizio venatorio, era loro imposto, onde evitare disturbi alla selvaggina, di legare al collo degli eventuali cani di proprietà un legno della lunghezza non inferiore a due palmi.

In definitiva, chi aveva la sfortuna di essere titolare di terre all'interno della circonferenza di un miglio dal perimetro delle reali cacce cessava, di fatto, di essere padrone del tenimento senza per questo venire esentato dal pagamento della fondiaria.
Bisogna attendere l'anno 1830, quando alla morte di Francesco I, divenne Re Ferdinando II, suo figlio, e furono per suo ordine abolite le reali cacce di Persano, Venafro, Mondragone e del real Demanio di Calvi, con lo scopo di promuovere l'agricoltura e la pastorizia, restituendo così ai proprietari i terreni che erano tenuti in fitto dalla Corte.

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